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Il Veterinario di Pitigliano, la sua casa e le storie della Maremma – Le paure fanno parte del mondo dei bambini. Il buio, i mostri, le streghe… sono spesso paure create con la fantasia, una capacità creativa che perdiamo insieme alle paure appena diventiamo adulti. La paura emoziona e piace, scatena l’adrenalina, ti fa correre di notte fino ad avere il fiatone pur allontanarti il più possibile da lì… Questa è la casa del Dott. Boscaglia.
La costruzione somiglia ad un piccolo castello, è correlata di torri, ha un’enorme scala di accesso ed un giardino che sfocia direttamente nel Parco. La casa del Dottore si trova sopra la casa della mia famiglia, all’interno del Parco Orsini di Pitigliano. Da piccola, quando venivo in Maremma per trascorrere le vacanze estive, c’era un luogo del quale avevo paura; la casa del Dott. Boscaglia, uno dei primi Veterinari in paese. Si racconta che il Veterinario arrivando a Pitigliano fece costruire la casa da geometri e muratori del luogo, seguendo un suo progetto senza parsimonia. La casa era precedentemente stracolma di mobili antichi, mischiati a referti archeologici dei quali Boscaglia si attorniava, amando l’archeologia ed essendo uno studioso del Popolo Etrusco.
Quando da adulta ho potuto visitarla, ho avvertito lo stesso fascino di allora. Mia nonna raccontava tante storie a noi ragazzi, anche storie di paura. Non ho mai capito se lo faceva per bloccarci in casa o se ne traeva un piacere personale. Narrava che il Veterinario era una persona generosa e se qualche malato si rivolgeva a lui per un’urgenza, lui era sempre disponibile, usava nell’esigenza le sanguisughe o mignatte utili per “succhiare sangue sporco”, diceva lei. Il Dott. Boscaglia non c’era già più quando c’ero io, e nella sua casa/castello viveva da sola la figlia, Preside della Scuola di Pitigliano.
Era una donnina piccola la Preside, silenziosa e sempre vestita di nero. L’anziana donna passava tutte le mattine davanti la nostra casa. Camminava di fretta, con un passo cadenzato. Io, seduta sulla terrazza l’osservavo in silenzio e anche lei osservava me. Questo incontro avveniva tutti i giorni, senza mai salutarci. La seguivo con gli occhi mentre percorreva la strada fino al ponte di Via San Francesco. Poi, rimanevo lì ferma ancora un pò a fantasticare. L’idea che quella fragile donna abitasse da sola in castello nel Parco Orsini, era lo stimolo sufficiente per inventare storie. Storie che raccontavo per avere paura e mettere paura a chi mi stava a sentire.